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mercoledì 23 maggio 2012

"Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola. "

C'è una foto di Falcone e Borsellino che tutti conosciamo.
 I due magistrati sono seduti uno accanto all'altro al tavolo di un convegno.
 Falcone si piega leggermente a sinistra per parlare al collega, Borsellino a sua volta gli si avvicina per ascoltare meglio. I loro volti sono sereni e spensierati come due amici che si scambiano confidenze, che scherzano con abituale familiarità. Ma in quella foto c'è di più, qualcosa che colpisce il nostro immaginario collettivo, quell'immagine non ritrae soltanto Falcone e Borsellino ma rappresenta due eroi che combattono la lotta alla mafia.
 Oggi è impossibile parlare di Giovanni senza Paolo, di Falcone senza Borsellino. La loro orrenda morte li ha uniti per sempre nella nostra memoria. E allora è giusto ricordarli anche dopo un ventennio dalla loro morte.
Magistrato, Giovanni Falcone e Giudice, Paolo Borsellino entrambi siciliani dedicarono la loro vita al tentativo di estirpare la mafia da quella regione in cui ormai si era saldamente radicata, la Sicilia.
 Di loro si racconta, infatti , che quando erano ancora adolescenti giocavano a pallone nei quartieri popolari di Palermo e che fra i loro compagni di gioco ci fossero probabilmente anche alcuni ragazzi che in futuro sarebbero diventati uomini di "Cosa Nostra".
 Forse proprio il fatto di essere siciliani, nati e cresciuti a contatto diretto con la realtà della regione, rappresentò la loro forza: Falcone e Borsellino infatti capivano perfettamente il mondo mafioso, comprendevano il senso dell'onore siciliano e il linguaggio dei boss e dei malavitosi con cui dovevano dialogare,guadagnandosi così la fiducia e perfino il rispetto dei "pentiti" di mafia. Secondo Falcone era necessario modificare l’approccio alla conoscenza della situazione mafiosa, che fino a quel momento aveva permesso una serie di assoluzioni per mancanza di prove di personaggi ritenuti mafiosi. In seguito,quindi, si venne a creare un “pool” di pochi magistrati che potessero occuparsi esclusivamente dei processi di mafia, che grazie anche all’aiuto del pentito Tommaso Buscetta, riuscì a costituire il primo “Maxiprocesso”contro la mafia, la quale rispose con l’uccisione di due stretti collaboratori dei due magistrati come gesto intimidatorio. Tuttavia la mossa non ebbe gli esiti sperati da “Cosa nostra”, poiché il 16 novembre 1967 vennero sentenziate 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere segnando un grande successo per il lavoro svolto da tutto il pool antimafia.
Da quel momento in avanti le minacce e gli attentati contro Borsellino e Falcone cominciarono a farsi frequenti, ma non riuscirono comunque a distoglierli dal loro compito: ciò si può dedurre dalle stesse parole di Falcone
 « Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l'essenza della dignità umana. Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore perché spesso non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno… Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini. »
 Con il clamoroso risultato del maxiprocesso, Falcone e Borsellino siglarono probabilmente la loro condanna a morte. Infatti il 23 maggio 1992 - con un attentato spettacolare - la macchina di Falcone vnnee fatta esplodere sull'autostrada che collega Palermo e Trapani: 500 chili di tritolo che tolsero la vita a Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e a tre agenti di scorta.
Quando Falcone saltò in aria, Paolo Borsellino capì che non gli sarebbe restato molto tempo:
 “Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me”.
 Il 19 luglio dello stesso anno un'autobomba esplose sotto casa di sua madre dove Paolo Borsellino si era recato in visita. Il magistrato muore con tutti gli uomini della scorta.
Oggi, nel ventesimo anniversario dalla loro morte, i due italiani vanno ricordati più di altri per i valori che hanno ispirato il loro agire quotidiano, per i risultati che hanno ottenuto e per il sacrificio che hanno affrontato con coraggiosa consapevolezza.


  Alessandra Santorino

2 commenti:

  1. Noi abbiamo il dovere morale e civico di ricordare questi due grandi uomini che hanno perso tutto, e che le loro famiglie hanno perso, in nome della Giustizia.Abbiamo un debito verso di loro che dobbiamo pagare facendo ognuno il nostro dovere, in nome di quella libertà che grazie a loro abbiamo e che adesso dobbiamo difendere con i denti.

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  2. Mi piace questo elemento... :))

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