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Siamo lieti di presentarvi il Blog ufficiale dell' associazione Mary Astell ,dove condivideremo con voi le idee, i pensieri e l'organizzazione di eventi per rendere migliore la nostra città...Proviamoci insieme!

lunedì 24 dicembre 2012

                            TANTI AUGURI A TUTTI VOI!

Fratellino e Sorellina

 C'era una volta una capanna in mezzo al bosco, dove vivevano due bambini, fratello e sorella, con il babbo, perché la mamma era morta. Si sentivano abbastanza soli e furono contenti quando il babbo decise di risposarsi. Speravano che la matrigna avrebbe fatto loro da mamma, che fosse una donna buona, che li amasse e, li consolasse quando si sentivano tristi. Ma la matrigna era una strega astuta e cattiva, che detestava i due bambini. Sgridava e picchiava Fratellino e Sorellina per qualsiasi inezia, e spesso li metteva in castigo senza ragione. I bambini erano molto infelici, pensavano sempre con nostalgia alla loro mamma, e sapevano che sarebbe stata triste nel vederli soffrire così. Decisero allora di andarsene da quella casa.
 La sorellina disse: - Andiamo, Fratellino. Ci faremo compagnia e non ci lasceremo mai.-
 Approfittarono di un momento in cui la matrigna si era addormentata e fuggirono nel bosco. Corsero quanto più poterono per non essere ritrovati. Dormirono nel bosco e il mattino dopo, sentendo il rumore di un ruscello, vi si diressero per bere almeno un po' d'acqua. Fratellino stava per bere, ma la sorella lo fermò. Aveva udito la sorgente mormorare: - Chi mi beve diventa una tigre! Chi mi beve diventa una tigre! - Fratellino, non bere! - supplicò - Altrimenti diventerai una tigre e mi sbranerai.
 -Va bene, - sospirò - andiamo a cercare un'altra sorgente. 
Poco dopo trovarono un ruscelletto, ma anche questo mormorava: - Chi mi beve diventa un lupo! Chi mi beve diventa un lupo! 
- Oh, Fratellino mio, non bere! Altrimenti diventerai un lupo e mi mangerai.
 Il fratellino borbottò: - Va bene, cerchiamo un'altra sorgente; ma non resisto più. Era opera della matrigna, che aveva stregato tutte le fonti del bosco.
 Anche la terza fonte mormorava: - Chi mi beve diventa un capriolo! Chi mi beve diventa un capriolo! - Fratellino mio, non bere! Altrimenti diventerai un capriolo e fuggirai. 
Ma Fratellino non l'ascoltò e bevve a sazietà. Subito si trasformò in un grazioso capriolo dal pelo macchiato di bianco. 
Sorellina, vedendolo, scoppiò a piangere disperata: - Non so come faremo, ma abbiamo giurato di non lasciarci mai, perciò ti terrò con me e continueremo la strada insieme.
 Dopo un po' trovarono una casetta solitaria. - Ci fermeremo qui. - disse la sorellina - Ti preparerò un bel giaciglio, e ogni giorno andrò a cercare da mangiare per me e per te. La sera Sorellina chiudeva gli occhi con la testa appoggiata al dorso di Fratellino. La vita scorreva così, abbastanza tranquilla, anche perché il capriolo poteva parlare e i due fratelli potevano ancora chiacchierare tra loro. Ma un mattino nel bosco risuonò l'abbaiare di cani e uno squillare di corni. Era il giovane re del paese che aveva organizzato una battuta di caccia. 
Il capriolo fu preso dalla smania di uscire. .... Oh, Sorellina mia! - supplicò. - Lasciami andare ad assistere alla caccia, ti prego. 
La sorellina non voleva e cercò sulle prime di opporsi, ma tanto il fratellino nelle spoglie del capriolo insistette che alla fine dovette cedere.
 - Quando tornerai – raccomandò – dovrai dire: «Sorellina, fammi entrare», così io potrò riconoscerti. Altrimenti non aprirò a nessuno perché ho paura dei cacciatori. Fratellino promise e in un momento scomparve nel bosco. Quel giorno si divertì moltissimo: facendosi vedere dai cacciatori ed eludendo ogni volta il loro inseguimento. 
Verso sera ritornò: - Sorellina fammi entrare! La sorellina aprì subito. Il giovane re intanto decise che doveva proprio catturare, ma vivo, quel dispettoso capriolo che per tutto il giorno li aveva fatti correre beffandosi di loro. E all'alba la caccia ricominciò. Fratellino volle uscire, e per la seconda volta si fece beffe di tutti, cacciatori e cani, apparendo e sparendo come il lampo. 
Uno dei cacciatori però riuscì a seguirlo fino alla casetta e lo sentì dire: - Sorellina, fammi entrare! - e vide anche una bella fanciulla che apriva la porta e accoglieva fra le braccia il capriolo. Il cacciatore ritornò dal re e gli narrò ogni cosa.
 Il re desiderò ancora di più catturare vivo quel capriolo. - Non devi uscire più, Fratellino, – diceva intanto Sorellina - altrimenti i cacciatori ti uccideranno, e io resterò sola in questo bosco!
 Ma l'istinto di capriolo era forte e il mattino dopo ricominciò a supplicare: - Sorellina, lasciami andare! - Va bene: ma ti prego, torna presto, altrimenti morirò io! Il capriolo spiccò un balzo e dileguò fra i cespugli.
 Il re e i suoi cavalieri erano già pronti e inseguirono il capriolo fino a sera, senza però riuscire a prenderlo. Alla fine il re diede ordine di lasciarlo in pace, poi andò alla capanna, bussò e disse:
 - Sorellina, fammi entrare! La fanciulla aprì, ma restò di stucco vedendo davanti a sé non il fratellino in forma di capriolo ma un giovane con un manto di porpora e di ermellino e una corona d'oro sulla testa
. - Dov'è il mio fratellino? È morto? - chiese Sorellina singhiozzando disperatamente. 
Il giovane re tentò di tranquillizzarla. - Com'è possibile che siate sorella di un capriolo! Certamente si tratta di un incantesimo! 
Sorellina raccontò le sue sventure e quelle di Fratellino. l re, incantato dalla bellezza della fanciulla, decise di aiutarla, e di condurre con sé i due fratelli al suo palazzo, dove sarebbero stati al sicuro: - Farò immediatamente arrestare la vostra matrigna e la obbligherò a togliere l'incantesimo. In quel momento rientrò anche il capriolo, che andò ad accucciarsi ai piedi di Sorellina.
 Poi, tutti insieme, partirono alla volta del palazzo. Là il re chiese la mano di Sorellina, che acconsentì, felicissima, perché già si era innamorata del re, che era bello e coraggioso. Si fece una grande festa per festeggiare le nozze. Poi furono mandate delle guardie ad arrestare la matrigna. Ma lei rifiutò di liberare Fratellino dall'incantesimo. Allora il re la condannò al rogo. Non appena fu bruciata, il capriolo si accasciò a terra, e Fratellino ritornò a vivere con il proprio aspetto: nel frattempo anche lui era diventato un bellissimo giovane. Fratello e sorella, promettendo in cuor loro che mai si sarebbero lasciati, si abbracciarono e abbracciarono anche il re; poi tutti vissero insieme felici e contenti.
                                                                FINE
Alessandra Santorino.

Le tradizioni del natale

Le tradizioni del Natale sono tantissime: ad esempio perchè le campane suonano? Da dove nasce la tradizione del presepe? E perchè appendiamo il vischio sopra le porte? Eccone alcune.
 La leggenda delle campane di Natale:I pastori si affollarono a Betlemme mentre viaggiavano per incontrare il neonato re. Un piccolo bimbo cieco sedeva sul lato della strada maestra e, sentendo l’annuncio degli angeli, pregò i passanti di condurlo da Gesù Bambino. Nessuno aveva tempo per lui. Quando la folla fu passata e le strade tornarono silenziose, il bimbo udì in lontananza il lieve rintocco di una campana da bestiame. Pensò “Forse quella mucca si trova proprio nella stalla dove è nato Gesù bambino!” e seguì la campana fino alla stalla ove la mucca portò il bimbo cieco fino alla mangiatoia dove giaceva il neonato Gesù.
 Ecco una breve storia del Presepe:La parola presepe deriva dal latino “Praesepe “ che significava letteralmente stalla, mangiatoia e rappresenta una raffigurazione rievocativa e realistica della natività di Gesù. La prima ricostruzione della scena del presepe si attribuisce a S. Francesco nel 1223. La consuetudine di allestire presepi nelle chiese si diffuse nel 1400 a partire dal Regno di Napoli, allargandosi in seguito in tutto il meridione. Intorno al 1500 nasce la cultura del presepe popolare ad opera di S. Gaetano di Thiene il quale diede un decisivo impulso all’ammissione di personaggi secondari vestiti sia secondo le fogge antiche sia dell’epoca a lui coeva. La nascita del “Figurinaio”, cioè del creatore di statuette avviene sotto il regno di Carlo III . La tradizione presepistica siciliana predilige l’utilizzo della terracotta come materiale per la realizzazione di presepi i quali vengono ormai riconosciuti come vere e proprie opere d’arte. 
Le Luci di Natale: Pare che questa tradizione non sia poi così antica, infatti fu Martin Lutero che intorno al 1500 durante la notte della vigilia di Natale si recò nel bosco e vide gli alberi ghiacciati che brillavano illuminati dai bagliori della luna e volle quindi ricreare la stessa atmosfera nel giardino della sua casa. Pensò di ornare l’albero con delle candele e da allora nasce la tradizione delle luci natalizie.
 E chi ha detto che baciarsi sotto il vischio porta fortuna? La leggenda del vischio risale da antichi riti pagani, ed in particolare da una storia; si narra che in Scandinavia vivesse la divinità Baldur, figlio di Odino e della dea Frigg e fratello di Loki. Baldur era giovane e forte e buono, per questo era amato da tutti. Suo fratello Loki era molto geloso ed invidioso dell’amore che il popolo gli dava e minacciò di ucciderlo. Odino decise allora di allertare tutto il popolo e gli ordinò di proteggere il buon Baldur dalle ire del fratello impazzito. Loki costruì una freccia ricavandola dal vischio e con essa uccise il fratello. Quando le divinità si accorsero di quanto accaduto si disperarono e la dea Frigg iniziò a piangere sul corpo del povero Baldur. Le lacrime della dea a contatto con il vischio si trasformarono in perle. Ancora oggi si usa appendere il vischio sulle porte delle case o sopra le arcate come auspicio di tanta fortuna.
Ecco la leggenda dell’agrifoglio: Un piccolo orfanello viveva presso alcuni pastori quando gli angeli araldi apparvero annunciando la lieta novella della nascita di Cristo. Sulla via di Betlemme, il bimbo intrecciò una corona di rami d’alloro per il neonato re. Ma quando la pose davanti a Gesù, la corona gli sembrò così indegna che il pastorello si vergognò del suo dono e cominciò a piangere. Allora Gesù Bambino toccò la corona, fece in modo che le sue foglie brillassero di un verde intenso e cambiò le lacrime dell’orfanello in bacche rosse.

Auguri a Tutti Voi! 


Mariapia Randazzo.


venerdì 21 dicembre 2012

Fantasticando a Natale!

Ciao a tutti, vorrei condividere una nuova e temporanea rubrica dedicata soprattutto alle mamme e a chi, in questi giorni festosi, si vuole proiettare in un mondo fantasioso schiodandosi dalla solita routine che la quotidianità può provocare. Semplicemente, vorrei aiutarvi pubblicando periodicamente delle favole e fiabe da raccontare ai proprio cari in questi giorni natalizi e quale migliore occasione per ricordare che ieri, la prima fiaba ha compiuto 200 anni. Infatti sono trascorsi due secoli dal 20 dicembre del 1812, quando venne presentata per la prima volta la raccolta di fiabe di Jacob Ludwig Karl Grimm e Wilhelm Karl Grimm, meglio noti come i fratelli Grimm. Con i loro racconti hanno contribuito alla crescita fantasiosa di generazioni di bambini, compresi noi. Più di 200 tra fiabe e favole scritte, tra le più famose da loro pubblicate vi sono i classici, come Hänsel e Gretel, Cenerentola, Il principe ranocchio, Cappuccetto Rosso, Biancaneve, I tre porcellini e Pollicino. Voglio inaugurare questa rubrica con una favola, non molto famosa ma sempre meravigliosa.

 Alessandra Santorino


                                                                    Le Tre Piume


 “ C'era una volta un re che aveva tre figli: due erano intelligenti e avveduti, mentre il terzo parlava poco, era semplice, e lo chiamavano il Grullo. Quando il re diventò vecchio e pensò alla sua fine, non sapeva quale dei figli dovesse ereditare il regno dopo la sua morte.
 Allora disse loro: -Andate, colui che mi porterà il tappeto più sottile diventerà re dopo la mia morte-.
 E perché‚ non litigassero fra di loro, li condusse davanti al castello, soffiando fece volare in aria tre piume e disse: -Dovete seguire il loro volo-. 
Una piuma volò verso oriente, l'altra verso occidente, mentre la terza se ne volò diritto e non arrivò molto lontano, ma cadde a terra ben presto. Così un fratello andò a destra, l'altro se ne andò a sinistra; il Grullo invece fu deriso perché‚ dovette fermarsi là dov'era caduta la terza piuma. Il Grullo si mise a sedere tutto triste. D'un tratto scorse una botola accanto alla piuma. 
L'aprì e discese una scala venendosi a trovare davanti a un'altra porta; bussò e sentì gridare dall'interno:-Oh, Donzelletta verde e piccina dalla zampa secca, sparuta cagnolina, ehi proprio tu, stammi a sentire, chi c'è là fuori mi devi dire!-La porta si aprì ed egli vide un rospo grande e grosso, con tanti piccoli rospetti attorno. Il rospo grande gli domandò che cosa egli desiderasse. Rispose -Un tappeto che sia il più bello e il più sottile di tutti-.
 Allora il rospo chiamò uno dei suoi rospetti e disse:-Oh, Donzelletta verde e piccina dalla zampa secca, sparuta cagnolina, ehi proprio tu, stammi ad ascoltare, proprio la scatola mi devi portare!-
La bestiola andò a prendere la scatola e il rospo grande l'aprì e diede al Grullo un tappeto, bello e sottile come nessun altro sulla terra. Il Grullo ringraziò e se ne tornò a casa.
 Gli altri due fratelli credevano che il minore fosse tanto sciocco che non sarebbe stato in grado di trovare nulla. -Perché‚ darsi la pena di cercare tanto!- dissero; tolsero alla prima pecoraia che incontrarono le rozze vesti e le portarono al re. 
In quella arrivò anche il Grullo con il suo bel tappeto, e quando il re lo vide si meravigliò e disse: -Il regno spetta al più giovane-.
 Ma gli altri due non gli diedero pace, dicendo che era impossibile che il Grullo diventasse re; e lo pregarono di porre un'altra condizione. Allora il padre disse: -Erediterà il regno colui che mi porterà l'anello più bello-. Condusse fuori i tre fratelli e soffiò in aria le piume che essi dovevano seguire. I due maggiori se ne andarono di nuovo verso oriente e verso occidente, mentre la piuma del Grullo volò dritta e cadde accanto alla botola. Egli scese di nuovo dal grosso rospo e gli disse che aveva bisogno dell'anello più bello del mondo.
 Il rospo si fece portare la scatola e gli diede un anello bellissimo, quale nessun orefice sulla terra avrebbe mai saputo fare. I due fratelli maggiori si fecero beffe del Grullo che andava in cerca di un anello d'oro, e non si diedero molta pena: schiodarono un anello da un vecchio timone e lo portarono al re. Ma quando questi vide lo splendido anello che aveva portato il Grullo, disse: -Il regno spetta a lui-. Ma i due maggiori tormentarono tanto il re finché egli pose una terza condizione e stabilì che avrebbe ottenuto il regno chi avesse portato a casa la donna più bella. Tornò a soffiare in aria le tre piume, che volarono come le altre volte.
 Allora il Grullo si recò per la terza volta dal rospo e disse: -Devo portare a casa la donna più bella-.
 -Accidenti!- rispose l'animale -la donna più bella! Sarai tu ad averla.- Gli diede una zucca cui erano attaccati sei topolini.
 "Che me ne faccio" pensò il Grullo tutto triste.
 Ma il rospo disse: -Adesso mettici dentro uno dei miei rospetti-. 
Egli ne prese uno a caso e lo mise nella zucca; ma non appena l'ebbe sfiorato, il rospo si tramutò in una bellissima fanciulla, la zucca divenne una carrozza e i sei topolini, sei cavalli. Salirono in carrozza, e il giovane baciò la fanciulla e la portò al re. Giunsero anche i fratelli, che avevano sottovalutato a tal punto il fratello da condurre con loro‚ le prime contadine che avevano incontrato.
 Allora il re disse: -Dopo la mia morte il regno toccherà al minore-. 
Ma i due maggiori ricominciarono di nuovo a protestare dicendo di non poter ammettere che il Grullo diventasse re, e pretesero che avesse la preferenza quello la cui moglie era in grado di saltare attraverso un cerchio appeso in mezzo alla sala. Essi infatti pensavano: "Le contadine sono forti e ci riusciranno, la delicata fanciulla invece si ammazzerà saltando".
 Il re accordò anche questa prova. Le due contadine saltarono e riuscirono sì ad attraversare il cerchio, ma erano così sgraziate che caddero a terra spezzandosi braccia e gambe. Poi saltò la bella fanciulla che il Grullo aveva portato con se, saltò attraverso l'anello con agilità estrema e conquistò il regno. Alla morte del re, il Grullo ereditò così la corona e regnò a lungo con grande saggezza. 
                                                                           
                                                                            FINE

mercoledì 19 dicembre 2012

Natale in giro per il mondo

Il Natale è una delle ricorrenze più festeggiate e sentite in tutto il mondo.
In Italia,addobbiamo l’albero con mille lucine colorate e palline,facciamo il Presepio,andiamo a Messa di Mezzanotte.
 Ma ogni nazione ha le sue tradizioni,vediamo insieme alcune tra le più curiose.
 La festa di San Nicholas segna l’inizio del Natale in Austria,le decorazione per l’albero si fanno con cera d’api versata dentro stampini per dolci con un filo a occhiello, e si lascia asciugare. Al suono di bande di strumenti d’ottone dai campanili delle chiese, i coristi, torce accese in mano, fanno la questua di casa in casa e si radunano sui gradini della Chiesa. 
Un addobbo tradizionale per l’albero di Natale danese è un cestino di carta intrecciata a forma di cuore, che viene riempito di dolci. Altri addobbi sono di legno intagliato, di paglia intrecciata e di carta colorata. In cima all’albero, ricoperto di tante candele accese, c’è una stella splendente. Ogni domenica dell’Avvento, si invitano ospiti per accendere le candele sulla corona dell’Avvento. Gli adulti bevono una calda miscela di vino rosso, spezie e uva, e i bambini bevono un succo di frutta dolce, per esempio di fragole. Per tutti ci sono i dolcetti al burro, cotti sul fuoco nello speciale tegame, e ricoperti di zucchero a velo.
In Francia la vigilia di Natale i bambini lasciano le scarpe vicino al camino, perché “Père Nöel” le riempia di doni. La mattina dopo scoprono anche che sono stati appesi all’albero dolci, frutti, noci e giochini. Nelle piazze delle cattedrali la storia della nascita di Cristo è messa in scena sia da attori sia da marionette. In aggiunta agli usuali personaggi biblici, spesso si includono personaggi di creta dipinta chiamati “Santons”, che rappresentano la gente di tutti i giorni, quali il prete, il sindaco, il poliziotto, il fornaio, il droghiere ecc… Questi pupazzi di creta si possono anche aggiungere nel presepe di casa propria.San Martino, uno dei santi più celebri in Francia, era un uomo molto buono che aiutava i poveri. La festa di san Martino annuncia l’inizio delle feste di natale. Viene festeggiato nel nord della Francia, in alcune zone della Germania, del Belgio e dell’Olanda. La leggenda racconta che San Martino smarrì il suo asino fra le dune e che alcuni bambini con la lanterna lo ritrovarono. Ogni anno gli scolari della Francia del nord fabbricano bellissime lanterne e vanno in cerca di San Martino e del suo asino.
I piccoli Spagnoli sono molto fortunati. Essi infatti ricevono regali il 25 dicembre e anche il 6 gennaio dai Re Magi che lasciano doni nelle scarpe. In molte città si svolge il corteo di una festa molto popolare: i Re Magi sfilano su carri riccamente decorati, seguiti da un gran numero di cavalieri. I bambini e gli adulti si accalcano lungo le strade per vederli passare. Dopo la sfilata i Re Magi vanno fra i bambini che sono stupiti di vederli così da vicino. In Spagna come in Portogallo il rito del presepio è sentito profondamente. Il presepio Salzillo nel museo della città spagnola di Murcia è composto di 556 figurine. Nella notte di Natale è usanza accogliere in famiglia un neonato povero al quale provvedere con un corredino nuovo. Un’altra tradizione è quella di vestire da vescovo un ragazzo cui vengono affidati pieni poteri dal 6 al 28 dicembre. 
Natale arriva nel bel mezzo dell’estate australiana, quando il tempo è molto caldo. Dopo lo scambio dei doni al tavolo della prima colazione, molti fanno il pranzo natalizio sulla spiaggia, seguito da una cena celebrativa. Le casa sono decorate con felci e foglie di palma, insieme a specialissimi fiori. Uno, chiamato “Cespuglio di Natale”, ha grappoli di piccoli fiori; un altro, “Campana di Natale”, è a forma di campanella. Una palma in un vaso, una volta addobbata, si trasforma in albero di Natale. 
Nelle case cinesi vengono allestiti alberi di Natale addobbati con ornamenti di carta colorati, lanterne e candeline. I bambini cinesi appendono agli alberi dei sacchetti con dei campanellini, sperando che Babbo Natale li senta e gli porti dei regali. Anche la tradizione della messa di mezzanotte viene seguita in Cina, infatti moltissime persone cristiane e non partecipano alla funzione richiamate dalla magica atmosfera. I Taoisti festeggiano in questo periodo con dei riti durante i quali rievocano le divinità ed i fantasmi. 
In India la Messa di mezzanotte dura dalle due alle tre ore e le chiese cattoliche vengono fastosamente addobbate. All’esterno le decorazioni sono fissate su enormi banani. I cristiani si fanno visite, si scambiano doni fatti di cesti di frutta, fiori e dolci. In loro è molto vivo il senso dell’ospitalità e quando si ritrovano nelle case insieme, cantano accompagnandosi con tamburi e cembali. Il padrone di casa offre thaili e focacce. I vicini, anche se non cristiani, sono molto interessati a questa festa di luci, perché nella religione indù c’è una festa che simboleggia la vittoria della luce sulle tenebre e che si chiama Diwali.
Infine, il Natale a Betlemme è un’esperienza molto profonda e suggestiva. Ogni anno in occasione del Natale moltissimi pellegrini si recano a Betlemme per ascoltare la Santa Messa nella Chiesa della Natività. Si pensa che questa Chiesa sia stata costruita nel punto in cui venne alla luce Gesù. Sopra alla Chiesa c’è una grande stella illuminata, e durante la notte di Natale, ancora oggi, la messa viene cantata in latino.

Ma la tradizione più bella è e resta la tradizione che si segue nelle proprie case con i propri cari,dove la cosa più importante è la famiglia e il loro calore e l'affetto.Cosa saremmo senza?

Buon Natale a tutti!

Mariapia Randazzo.

giovedì 13 dicembre 2012

CuCciA!

A ogni ricorrenza,come da tradizione italiana e in particolare siciliana, siamo abituati a gustare una ricetta caratteristica che ne richiama la storia o il passato.
 Oggi 13 Dicembre Siracusa festeggia la sua Santa Patrona Lucia.
 La cuccia è il dolce tradizionale della festa di Santa Lucia e la sua preparazione è quasi un rito in Sicilia.
 La leggenda narra che in Sicilia ci fu una lunga carestia nel 1946,durante la dominazione spagnola, e la gente moriva di fame. Si fecero allora delle preghiere per chiedere l'aiuto divino e proprio il giorno di Santa Lucia, il 13 di dicembre, giunse nel porto una nave carica di grano.
 Il grano fu subito distribuito e la gente, per non perdere ancora del tempo per macinarlo e trasformarlo in farina e poi in pane o pasta, lo cucinò così com'era.
 Da allora, in segno di riconoscenza il giorno di Santa Lucia, ritenuta l'artefice del miracolo, non si mangiano pane e pasta ma la cuccia, come venne mangiata secoli or sono. Il nome "cuccia" può derivare dal sostantivo "cocciu", chicco, o dal verbo "cucciari", cioè mangiare un chicco alla volta.
 La tradizione vuole che questo dolce sia distribuito a familiari, amici e vicini di casa. Le briciole si lasciano su tetti per essere catturate dagli uccellini. 
 La Ricetta.
 Ingredienti per 8 persone 
 1. Ricotta di pecora 1,5 Kg
 2. Frumento 500 g
 3. Zucchero 450 g 
 4. Frutta candita 300 g
 5. Cioccolato fondente 150 g 
 6. Granella di pistacchi q.b. 
 7. Cannella in polvere q.b. 
 8. Sale 1 pizzico 
 Preparazione 
 1 Tre giorni prima della preparazione della cuccia mettete in acqua il frumento cambiando l'acqua ogni giorno. Al termine della macerazione scolate il frumento e mettetelo in un tegame ricoprendolo d’acqua e aggiungendo un pizzico di sale. E’ anche vero che ormai con le moderne pentole a pressione,la cottura del grano è molto più veloce e semplice. 
2 Procedere alla cottura per circa 8 ore a fiamma bassissima, poi lasciate riposare nell’acqua di cottura il frumento,fino al raffreddamento. 5-10 minuti se la cottura avviene nella pentola a pressione,in base al grado di cottura che si desidera raggiungere.
 3 Mettere la ricotta con lo zucchero in una ciotola abbastanza capiente e lavoratela con le fruste di uno sbattitore. Lasciatela riposare per circa trenta minuti, quindi aggiungete la frutta candita tagliata a piccoli cubetti e le gocce di cioccolato fondente. 
4 Scolate bene il frumento e aggiungetelo alla crema, amalgamando ben bene, poi servite in ciotoline individuali spolverando con la granella di pistacchi e la cannella in polvere. 
 Buon Appetito e auguri a tutte le Lucie!


Mariapia Randazzo

mercoledì 12 dicembre 2012

Lucia,Siracusa ti saluta!


Domani 13 Dicembre ricorre la festa liturgica della nostra patrona Santa Lucia. Come ogni anno la città si stringe intorno al Suo simulacro con devozione accompagnandola per le strade della città con grande partecipazione. Ma la festa patronale della Santa comincia ufficialmente la mattina del 12 dicembre con la traslazione del simulacro argenteo dalla sua cappella in cattedrale, fino all'altare maggiore. La sera vengono poi celebrati, sempre in cattedrale, i vespri solenni, presieduti dall'Arcivescovo, a cui partecipano diversi sacerdoti della diocesi, diaconi, il Seminario Arcivescovile, diverse autorità civili e religiose. Alla fine dei vespri viene distribuita ai fedeli la "cuccìa", dolce tipico della Sicilia occidentale che viene preparato come da tradizione il giorno della festa della Santa Patrona, introdotto a Siracusa negli anni ottanta del XX secolo. È il 13 dicembre,comunque, il giorno principale della festa. Il simulacro argenteo viene portato a spalla da 60 berretti verdi (nomignolo affibbiato ai portatori) dalle ore 15:30 quando, tra il suono festoso delle campane, viene portato dalla Cattedrale su Piazza Duomo gremita di fedeli in attesa. Dopo un breve discorso a sfondo sociale dell'Arcivescovo alla cittadinanza, la processione sfila lungo via Picherali e largo Aretusa da dove gira per il passeggio Aretusa giungendo nel tardo pomeriggio in via Ruggero Settimo dove si trova la Porta Marina (attigua al Porto grande) e qui avviene uno dei momenti più toccanti della processione, ovvero il saluto di marinai e di militari che fanno suonare a festa le sirene delle loro navi. Dopo di ciò, il Simulacro si dirige verso via Savoia prima e verso via Chindemi dopo per arrivare e transitare sul ponte a Lei intitolato dove sosta per alcuni minuti, sosta accompagnata dallo sparo dei tradizionali fuochi d'artificio. Quando la processione è ormai giunta sulla terraferma, percorre il corso Umberto dove svolta per viale Regina Margherita e si avvicina quindi al cuore della Borgata Santa Lucia salendo in via Piave, gira per via Ragusa e dunque verso piazza Santa Lucia e alla Basilica di Santa Lucia al Sepolcro localizzata nel quartiere e più specificatamente nella piazza intitolata in sua memoria quando sono le 22:00 circa. Entrato in Basilica, il Simulacro viene sistemato sull'altare maggiore dove resterà dinanzi ai fedeli per tutta la settimana. 
In occasione dei festeggiamenti di Santa Lucia, si svolge, com'è tradizione dal 1970, la manifestazione "Lucia di Svezia e Settimana Svedese", una sorta di gemellaggio fra Siracusa e la Svezia nel nome di Santa Lucia. La manifestazione ha il fine di accostare la festività cristiana, che si celebra a Siracusa in occasione della celebrazione della santa patrona, alla tradizione svedese. Il 20 dicembre, in occasione della processione, Siracusa ospita "Lucia di Svezia", una giovane fanciulla svedese, accompagnata da due "ancelle", che in Svezia rappresenta Lucia, con il capo cinto di una corona di candele, come quelle che facevano luce alla Santa nella notte permanente delle catacombe siracusane. Ma ancora giorno 20, giornata tradizionalmente definita dai siracusani come l' ottava, il simulacro di S.Lucia, rispetto al tragitto di sette giorni prima, osserva diverse soste molto sentite dai fedeli. La processione ha inizio alle ore 16:00 dalla Basilica della Borgata dirigendosi dapprima verso il Santuario della Madonna delle Lacrime percorrendo tutta la via Ragusa, taglia viale Cadorna e imbocca piazza della Vittoria giungendo al Santuario dove avviene l'incontro tra la Santa e Maria attorno al quale si stringe la comunità del tempio Mariano con il suo Rettore che tiene un breve discorso alla cittadinanza. A pochi metri dal Santuario è situato l'ospedale Umberto I ed una volta terminata la prima visita è qui che la processione si ferma nuovamente assistendo alla visita di Santa Lucia ai malati e partecipando al momento di preghiera gestito dalla comunità dell'ospedale. 
Terminata anche questa sosta, la processione riprende il cammino verso Ortigia scendendo per l'intero corso Gelone immettendosi in via Catania prima e in piazzale Marconi dopo iniziando la discesa verso Ortigia attraversando tutto il corso Umberto fino al ponte umbertino (i ponti per i siracusani), il Simulacro della Santa Patrona effettua una nuova sosta per consentire il tradizionale spettacolo pirotecnico. Sono le 22:00 circa quando si accede all'isola di Ortigia percorrendo piazza Pancali, largo 25 luglio e tutto il corso Matteotti per salire fino in piazza Archimede, il percorso devia per le vie Roma e Minerva per arrivare in Piazza Duomo intorno alle 23\mezzanotte, prima di rientrare in Cattedrale Santa Lucia viene salutata per l'ultima volta con lo sparo dei botti, una volta terminati si può rientrare in Duomo e può avvenire la conservazione nella propria cappella dove resta chiusa fino alla prima domenica di maggio, quando si svolge la festività di “Santa Lucia re quagghie”.
 Conosciamo tutti la storia di Lucia?
 Si narra di una giovane, orfana di padre, appartenente ad una ricca famiglia di Siracusa, che era stata promessa in sposa ad un pagano. La madre di Lucia, Eutichia, da anni ammalata, aveva speso ingenti somme per curarsi, ma nulla le era giovato. Fu così che Lucia ed Eutichia, unendosi ad un pellegrinaggio di siracusani al sepolcro di Agata , pregarono S. Agata affinché intercedesse per la guarigione della donna. Durante la preghiera Lucia si assopì e vide in sogno S. Agata che le diceva: Lucia, perché chiedi a me ciò che puoi ottenere tu per tua madre? Nella visione S. Agata le preannunciava anche il suo patronato sulla città di Siracusa. Ritornata a Siracusa e constatata la guarigione di Eutichia, Lucia comunicò alla madre la sua ferma decisione di consacrarsi a Cristo. Il pretendente, insospettito e preoccupato nel vedere la desiderata sposa vendere tutto il suo patrimonio per distribuirlo ai poveri, verificato il rifiuto di Lucia, la denunciò come cristiana. Erano in vigore i decreti di persecuzione dei cristiani emanati dall'Imperatore Diocleziano. Il processo che Lucia sostenne dinanzi all'Arconte Pascasio attesta la fede ed anche la fierezza di questa giovane donna nel proclamarsi cristiana. Minacciata di essere esposta tra le prostitute, Lucia rispose. "Il corpo si contamina solo se l'anima acconsente".
 Il proconsole allora ordina che la donna sia costretta con la forza, ma lei diventa così pesante, che decine di uomini non riescono a spostarla. Il dialogo serrato tra lei ed il magistrato vede addirittura quasi ribaltarsi le posizioni, tanto da vedere Lucia quasi mettere in difficoltà l'Arconte che, per piegarla all'abiura, la sottopone a tormenti. Lucia esce illesa da ogni tormento fino a quando, inginocchiatasi, viene decapitata. Prima di morire annuncia la destituzione di Diocleziano e la pace per la Chiesa. 
Privo di ogni fondamento, ed assente nelle molteplici narrazioni e tradizioni, almeno fino al secolo XV, è l'episodio di Lucia che si strappa gli occhi. L'emblema degli occhi sulla tazza, o sul piatto, è da ricollegarsi, semplicemente, con la devozione popolare che l'ha sempre invocata protettrice della vista a causa del suo nome Lucia (da Lux, luce). La sua iconografia vede spesso gli occhi accompagnati dal pugnale conficcato in gola. Il motivo di questa raffigurazione è da spiegarsi con il racconto dei cosiddetti Atti latini che descrivono la morte di Lucia per jugulatio piuttosto che per decapitazione. 
Attestato dalla testimonianza scritta di un testimone oculare come miracolo la fine della carestia dell'anno 1646. La domenica 13 maggio 1646, una colomba fu vista volteggiare dentro la Cattedrale durante la Messa . Quando la colomba si posò sul soglio episcopale, una voce annunciò l'arrivo al porto di un bastimento carico di cereali.
 La popolazione tutta vide in quella nave la risposta data da Lucia alle tante preghiere che a lei erano state rivolte. Santa Lucia considerata dai devoti la protettrice degli occhi, dei ciechi, degli oculisti, degli elettricisti e degli scalpellini e viene spesso invocata nelle malattie degli occhi.

 Il corpo della santa, prelevato in epoca antica dai Bizantini a Siracusa, è stato successivamente trafugato dai Veneziani che conquistarono Costantinopoli (l'attuale Istanbul) ed è quindi attualmente conservato e venerato nella chiesa di San Geremia a Venezia. Le sacre spoglie della santa siracusana tornarono eccezionalmente a Siracusa per sette giorni nel dicembre 2004 in occasione del 17º centenario del suo martirio.
 L'arrivo e la partenza delle spoglie furono salutati da una incredibile folla di siracusani; riscontrata l'elevatissima partecipazione e devozione dei devoti, siracusani e non, da allora si è fatta strada la possibilità di un ritorno definitivo tramite alcune trattative tra l'Arcivescovo di Siracusa Giuseppe Costanzo e il Patriarca di Venezia Angelo Scola.
Arrivo del Corpo della nostra Santa (2004)

In occasione della festività per la nostra Patrona,inoltre,l'associazione Mary Astell organizza una visita guidata alle Catacombe di Santa Lucia al Sepolcro,che si svolgerà domenica 16 dicembre alle ore 20.30.
Vi aspettiamo numerosi,per rendere omaggio alla Venerata Lucia!

Mariapia Randazzo



lunedì 10 dicembre 2012

"L'Incantatrice dei Numeri"

Forse farete fatica a crederci, ma il primo programmatore informatico fu una donna: Augusta Ada Byron (Londra, 10 dicembre 1815 - Londra, 27 novembre 1852), meglio conosciuta come Ada Lovelace dal nome del marito William King, Conte di Lovelace, una matematica inglese, nota soprattutto per il suo lavoro alla macchina analitica ideata da Charles Babbage (scienziato proto-informatico che per primo ebbe l'idea di un calcolatore programmabile). 
Di salute cagionevole, Ada, soffriva spesso di forti cefalee che le creavano fastidiosi problemi di vista ai quali nel 1829 si aggiunse il morbillo che la lasciò paralizzata e costretta a rimanere a letto per quasi un anno. Nonostante le sue malattie, Ada, continuò a studiare matematica e scienze e già all'età di diciassette anni, le sue eccezionali capacità matematiche cominciarono ad emergere.
 Nel 1833, in occasione di un ricevimento organizzato da Mary Somerville, uno dei suoi tutor, incontrò Charles Babbage. Affascinata dall'universalità delle idee di quest'ultimo e, interessatasi al suo lavoro, iniziò a studiare i metodi di calcolo realizzabili con la macchina differenziale e la macchina analitica. Babbage fu colpito dall'intelletto di Lovelace e delle sue abilità, tanto da sopranominarla "l'Incantatrice dei Numeri". Infatti la Lovelace è famosa proprio per aver concepito un algoritmo per il calcolo dei numeri di Bernoulli, che oggi viene riconosciuto proprio come il primo programma informatico della storia. Lovelace morì all'età di 36 anni, il 27 novembre 1852, a causa di un cancro uterino. 
Oggi è un giorno particolare perché si celebra il 197° anniversario dalla nascita e non poteva non essere ricordata e citata dall’Associazione Mary Astell attraverso un post dedicato interamente a lei e al suo contributo nella storia della scienza informatica.
 E 'attraverso l'opera di grandi uomini, come Charles Babbage, che il computer che abbiamo giornalmente di fronte esiste, ma senza un software il pc sarebbe solo una scatola vuota. È qui che entra in gioco l’eccezionale lavoro di Lady Lovelace, la prima programmatice di computers. 
Oltre a ricordarla nell’anniversario della sua nascita, il 24 marzo è ampiamente riconosciuto come il giorno Ada Lovelace, ovvero il giorno dedicato alla celebrazione delle conquiste delle donne in campo scientifico e tecnologico.


 Alessandra Santorino

mercoledì 5 dicembre 2012

Ellenizzazione

Nel 729 a.C. i Calcidiesi di Nasso,condotti da TEOCLE, fondarono LEONTINOI;
mentre altri,condotti da EVARCO,fondarono CATANA. 
Oltre i Calcidiesi ed i Corinti,arrivarono anche i Megaresi che,guidati da LAMIDE, fondarono TROTILO (729 a.C.) nell'insenatura detta BRUCA. 
Ritiratisi sul promontorio di TAPSOS (oggi Magnisi) vi presero stanza onde la città convertì il suo nome in MEGARA-IBLEA (728 a.C.).
 Emigrati Calcidiesi guidati da CRATIMENE occuparono ZANCLE (Messina) città sicula sullo stretto.
 Altri Calcidiesi e Messeni fondarono sull'altra sponda REGGIO (724 a.C.). Per le stesse condizioni di sicurezza fu occupata una penisola che venne chiamata MYLAI (Milazzo) attorno al 716 a.C.
 Rodii e Cretesi con alcuni Megaresi si stabilirono alla foce di un fiume,detto dai Siculi per la sua freddezza GELA fondandone la relativa città (689 a.C).
Nel 648 Zanclei con fuggiaschi Siracusani e Miletidi fondarono IMERA. Nel 628 quelli di Megara-Iblea fondarono SELINUNTE per poi spingersi a fondare SCIACCA. Nel 581 a.C. alcuni Gelesi fondarono AGRACANTO ,dal nome del fiume Acragas ribattezzata dai Romani in Agrigento.
 Dai Siracusani fu fondata ACRE nel 674,presso la odierna Palazzolo e fu mandata una colonia a ellenizzare ENNA; nel 644 fu fondata CASMENE (forse Scicli) e nel 599 CAMARINA. 
Come si vede nell'arco di centocinquantanni i Greci si diffusero in tutta la Sicilia, ellenizzando i Siculi ed evolvendo i Sicani e gli Elimi popoli stanziatisi nell'Isola nei periodi precedenti. 
Non sappiamo come erano organizzate le città nei primi periodi ,ma sappiamo che erano indipendenti,che intrattenevano rapporti cordiali colle metropoli greche di provenienza. Quasi per tutte le colonie, una volta assegnato il territorio tra i colonizzatori ,si veniva a formare una aristocrazia che lasciava ai nativi la coltivazione della terra. 
Mentre con l'arrivo di nuove immigrazioni si dava origine a nuove fazioni che,con la loro turbolenza preparavano il terreno alle tirannie. Esempio di queste aristocrazie sarebbero i GAMORI di Siracusa discendenti dei primi coloni. Si può benissimo affermare che la storia dei Greci diventa la storia di tutta la Sicilia ed in qualche periodo ,storia del mondo.

Marcello Lo Iacono.

giovedì 22 novembre 2012

"Giungla d'ASFALTO!"

Ho vissuto dodici anni a Milano e di quella città non rimpiango nulla se non il fatto di non aver mai avuto bisogno della macchina per spostarmi. Mi muovevo all’interno della città con grande facilità grazie agli efficientissimi mezzi pubblici di trasporto (tram, autobus e metropolitana) i cui punti di attesa presentavano una cartellonistica chiara dei percorsi e degli orari di passaggio, che comunque non superavano mai i cinque/dieci minuti. E poi, in alternativa, le lunghe passeggiate a piedi su ampi marciapiedi, che permettevano di raggiungere il centro della città in modo piacevole e rilassante. 
Sono ritornata “felicemente” a Siracusa, ma mi sono subito resa conto che tutto ciò qui era pura fantascienza! Ho dovuto subito reimparare a guidare la macchina, senza la quale, purtroppo è impossibile muoversi, e comunque non sono mai stata invogliata a prendere un autobus perché, dopo otto anni, non ho ancora capito a che ora passano e che percorso compiono! Al contrario di Milano, che credo in Italia sia al top del servizio pubblico di trasporto, qui siamo al “flop”.
Cartellonistica inesistente su percorsi ed orari, con punti di fermata non molto chiari e con macchine spesso parcheggiate davanti. Per non parlare dei conducenti che guidano come dei pazzi, parlano spesso al cellulare e non indossano mai la divisa. 
 Mi è venuto da sorridere quando in passato sono state organizzate le domeniche ecologiche senza auto come avviene spesso nelle grandi città come Roma e Milano.
 Bellissima l’idea ma solo in linea teorica, per una città come la nostra in cui il trasporto pubblico è praticamente inesistente. Inoltre, la conformazione di Siracusa scoraggia l’uso della bicicletta (largamente utilizzate nelle città della Pianura Padana) a meno che tu non sia ben allenato nell’affrontare le lunghe salite. 
 Altro capitolo doloroso riguarda la possibilità di lasciare la macchina per decidere di fare due passi a piedi, soprattutto se si ha un passeggino al seguito. Al di là del centro storico in cui i marciapiedi sono larghi e con gli scivoli ed esistono delle zone pedonali, per il resto la città è un vero disastro.
Macchine parcheggiate ovunque, in doppia fila o davanti agli scivoli e così muoversi con il passeggino è una vera impresa; un continuo sali e scendi dai marciapiedi in uno slalom tra moto parcheggiate, buche e bisognini dei cani.
Tutto ciò chiaramente non ha nulla di piacevole e rilassante! Mi capita spesso di riflettere su come queste problematiche, sulle quali si potrebbe anche sorridere, possano invece essere vissute con rabbia da una persona diversamente abile che si trova impossibilitata a muoversi da sola in quella che gli appare come una vera “giungla” d’asfalto. 
Si è vero, ci sono le mancanze delle Pubblica Amministrazione, ma molte difficoltà sono dovute alla maleducazione e l’incuria di chi, con i suoi gesti quotidiani, non si rende conto di arrecare danno agli altri. Spero che questo pensiero possa stimolare i lettori a non tollerare passivamente questi atteggiamenti di inciviltà, avendo il coraggio di rivolgere un rimprovero a chi lo merita, ricordandogli che non vive in una “giungla” ma in una città meravigliosa, ricca di storia e cultura che il resto del mondo ci invidia .


 Carla Bramanti

lunedì 19 novembre 2012

Il gergo giovanile


Tra i vari gerghi, quello giovanile è sicuramente il più colorito e eterogeneo e ci  mostra un esempio di società alternativa formatasi all’interno della società stessa.
Tale fenomeno, nei giovani, nacque agli inizi degli anni ’80 grazie al programma televisivo “Drive in” che introdusse i termini della “generazione paninara” i quali indicavano un gruppo giovanile nato a Milano e da lì diffusosi in tutta Italia e in alcuni paesi europei. Tale gruppo era caratterizzato, dall'ossessione per le griffe, dal rifiuto della politica e dal divertimento ad ogni costo.
Da allora, il gergo ha fatto molta strada, diventando al giorno d’oggi sempre più frequente.
Il linguaggio giovanile odierno ha come base l’italiano colloquiale, informale e scherzoso nel quale entrano e si mescolano altri componenti che sono:
1.La componente gergale “tradizionale” che si riferisce a parole che hanno un’origine gergale (Togo, Secchione, Cotta).
2.La componente gergale “innovativa” che è quella caratterizzante la lingua dei giovani. Comprende quelle forme linguistiche create dai giovani attraverso procedimenti che servono a modificare la forma esterna o il significato della parola. (per esempio il cambiamento del significato di cozza che assume il valore di ragazza brutta).
3.Dalla pubblicità e dai mezzi di comunicazione provengono slogan pubblicitari che vengono ripetuti come tormentoni (mastrolindo per indicare una persona calva o muscolosa).
4.Elementi tratti da lingue straniere, come i forestierismi, e i pseudoforestierismi (flesciare (= colpire, andare fuori di testa, dall’ingl. flash), gym (= ginnastica, palestra), fly down (= stai calmo), cucador (= uno che “cucca”, che ha successo con le ragazze).
5.Elementi tratti dai dialetti (gnocca/bella ragazza; burino/tipo rozzo; pischella/ragazzina ecc.).



Silvia Sudano.

venerdì 16 novembre 2012

Settimana dell’Infanzia 2012

E’ iniziata ieri la Settimana dell’Infanzia 2012 che si svolge quest’anno dal 15 al 20 novembre. Tantissime sono le iniziative e le manifestazioni organizzate ogni anno dagli asili, dalle scuole elementari, dagli ospedali e dai reparti pediatrici di tutta Italia. La cosa più importante è però ricordare che tutti i progetti durante questa settimana speciale vogliono veicolare un messaggio e gridare al mondo che i diritti fondamentali dei bambini devono essere tutelati. I piccoli vanno infatti protetti più di ogni altra cosa, sotto ogni aspetto della loro vita, ed è tutta la società che deve garantire ai cuccioli, a tutti, un’infanzia serena e protetta. Tra le tantissime proposte del calendario della Settimana dell’Infanzia è bellissimo e degno di nota il progetto che parte da Roma dal nome “Sorridi in ospedale”. Un’iniziativa per regalare tantissimi sorrisi anche ai bambini ricoverati, che ne hanno davvero tanto bisogno. Sono moltissimi anche i personaggi dello star system 
che si sono impegnati su questo tema: memorabili in passato le campagne di Lady Diana; oggi, il nostro Roberto Bolle si distingue per il suo impegno prestando la sua immagine e la sua arte per raccogliere fondi. L'infanzia è un periodo della vita di un individuo compreso tra la nascita e la pubertà. Etimologicamente il termine deriva dal latino infans che significa muto, che non può parlare e quindi per estensione assume il significato di bambino che non può parlare. Nel periodo dell'infanzia, esistono numerose fonti di rischio per il corretto sviluppo del bambino. A titolo di esempio, nel periodo dell'infanzia si può sviluppare una serie di problematiche relative al non corretto sviluppo psicosessuale, alla pedofilia, allo sfruttamento infantile soprattutto sviluppato nei Paesi poveri. Quest'ultima è una situazione problematica in quanto nega di fatto quel diritto all'infanzia che dovrebbe essere proprio di ogni bambino. La settimana dell’infanzia nasce il 20 novembre di 22 anni fa, dove l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la Convenzione sui diritti dell’infanzia, ratificata oggi da ben 193 paesi del mondo. Un momento straordinario, che viene celebrato ogni anno e anticipato da una settimana dedicata al tema dei diritti dei più indifesi. Dopo il grande successo dello scorso anno, anche per questo 2012 i più grandi social network, Facebook e Twitter vogliono dare il loro contributo: per tutta la settimana dell’infanzia (e oltre per chi vorrà..) tutti gli iscritti saranno invitati a cambiare la propria immagine del profilo con quella del proprio cartone animato preferito. Come si legge sugli stessi social network, “Questo piccolo gesto vi rende partecipi delle importanti iniziative di sensibilizzazione sui problemi, ancora troppi, dell’infanzia nel mondo. Ovviamente nessuno ha la bacchetta magica, ma con piccoli gesti come questo si può portare alla luce un’iniziativa molto bella e importante che forse non tutti conoscono”. Come detto, nessuno ha la bacchetta magica per risolvere tutti i problemi legati al mondo dell’infanzia, ma possiamo contribuire comunque a sensibilizzare il maggior numero di persone possibili. 



 Alessandra Santorino

mercoledì 14 novembre 2012

Chiesa Santa Maria dei Miracoli!

Così minuscola, così raccolta, dov’era prima una piazzetta, ridotta a una viuzza stretta fra le antiche abitazioni dei vicoli dei Cordai e dei Candelai e l’opposta palazzina Liberty, la chiesa di S.Maria dei Miracoli è una piccola gemma incastonata in una montatura di modesta fattura.
 Il 28 gennaio del 1500 a Siracusa esplose una terribile epidemia di peste che, in poco più di un anno, portò alla morte oltre diecimila persone. La tradizione vuole che il flagello cominciasse a cessare proprio nel quartiere dei cordari, nel luogo in cui esisteva già una cappelletta con una venerata immagine della Madonna. La gente gridò al miracolo e, con l’appoggio del vescovo Dalmazio, si raccolsero i fondi per la costruzione di una chiesa dedicata alla Madonna dei Miracoli, sulla preesistente cappella del 1300. Della trecentesca costruzione restano i muri della facciata, l’arco di trionfo e l’abside. L’edicoletta esterna, accanto al portale gaginiano, è catalana. Fino al 1860, il Senato siracusano si recava ogni anno in questo santuario per rendere omaggio alla Madonna, la cui festa, il 2 luglio, richiamava un gran concorso di popolo, il quale portava trionfalmente la sacra scultura per le vie della parrocchia, fino al molo Zanagora dove, imbarcata su una nave militare, le si faceva fare più volte il giro del porto grande. E poi, per la folla dei devoti, c’erano i tradizionali giochi della cuccagna, della pentolaccia, la corsa con i sacchi, i fuochi d’artificio.

domenica 11 novembre 2012

San Martino

La festa di San Martino si celebra l'undici novembre di ogni anno,ma chi era Martino e qual è la sua Storia?

 Martino nacque nel 316 o 317 nella provincia romana della Pannonia, l'odierna Ungheria. Il padre, militare, chiamò il figlio Martino, cioè piccolo Marte, in onore del dio della guerra. Ancora bambino Martino giunse coi genitori a Pavia, dove suo padre era stato destinato, ed in questa città fu allevato. Proprio a Pavia, Martino chiese di essere ammesso al catecumenato, ma, come ogni figlio di veterano aveva una carriera già trattata: l'esercito. A soli 15 anni fu obbligato al giuramento militare dal padre, irritato dalla ripugnanza del figlio per la professione delle armi e della sua inclinazione verso la vita del Monaco cristiano. Così Martino si preparò alla carriera delle armi e fu in breve promosso al grado di "circitor". Il compito delle "circitor" era la ronda di notte e l'ispezione dei posti di guardia. Durante una di queste ronde, Martino incontrò, nel cuore dell'inverno, un povero seminudo e, non avendo più denari, prese la spada, tagliò in due il proprio mantello e ne donò la metà al povero. La notte seguente egli vide in sogno Cristo, avvolto in quel mantello che gli sorrideva riconoscente. Questo atto di carità probabilmente avvenne nel 338 mentre Martino era di guarnigione ad Amiens; nella Pasqua del 339 egli ricevette il battesimo. Dopo il battesimo, Martino rimase nell'esercito per circa vent'anni durante i quali condusse una vita da vero cristiano e da buon camerata, dando comprensione a tutti. Infine a quarant'anni decise di mettere in esecuzione il progetto della sua giovinezza: lasciare le armi e farsi Monaco. Dopo l'esonero dal servizio militare, Martino si recò a Poitiers, presso Ilario, suo amico, che era stato eletto vescovo. Egli aveva potuto conoscere il grande vescovo in una delle città dov'era stato di guarnigione e aveva concepito per lui un'ammirazione grandissima. Ilario lo accolse molto bene e lo ordinò esorcista, carica poco ambita, ma che avrebbe permesso al nuovo chierico di dedicarsi allo studio delle cose di Dio sotto la direzione di un incomparabile maestro. Una notte però Martino sognò che doveva convertire i sui vecchi genitori; partì allora per la Pannonia e convertì sua madre, ma non ebbe successo presso il padre, pagano ostinato. In tutta la regione dominava l'arianesimo. Per il suo coraggioso tentativo fu ingiuriato, dovette lasciare il paese. Si recò a Milano e poi in Liguria, nell'isola di Gallinara, infine tornò a Poitiers, dove Ilario lo accolse nuovamente con grande gioia, ed in questo periodo fu ordinato diacono e poi prete. Ilario possedeva a poche miglia da Poitiers, una villa e permise a Martino di ritirarvisi: laggiù egli divenne Monaco, ben presto circondato da discepoli, evangelizzando coloro che abitavano nei dintorni. Sorse così il monastero di Ligugè, il più antico conosciuto d'Europa. Per 26 anni, e fino alla morte, proseguì la sua opera di evangelizzazione con una mirabile giovinezza di spirito, lottando contro l'eresia ed il male e contro la miseria umana. Un giorno, sul finire dall'autunno del 397, si recò nella parrocchia rurale di Condate, per mettere pace tra i chierici in lite tra loro. Al momento di ripartire per Tours, però, si sentì allo stremo delle forze e fu assalito dalla febbre: comprese che si avvicinava la sua ultima ora. Si fece distendere su di un cilicio e su di un letto di cenere, come era usanza degli asceti del tempo, e attese la morte in preghiera. Morì l'8 novembre 397. Il suo corpo fu ricondotto, navigando sulla Loira, fino a Tours, le esequie ebbero luogo l'undici novembre fra un immenso concorso di popolo venuto d'ogni parte. Tutti accompagnarono il vescovo fino al cimitero, dove fu deposto in una semplicissima tomba, come egli avrebbe desiderato, e dove ben presto sarebbe sorta una grande basilica. Alla grande basilica sorta a Tours in onore di Martino fu annessa in epoca seguente a un monastero con grandi edifici destinati ai pellegrini e dove tutta la nobiltà franca e merolingia aveva uno dei propri figli; anche coloro che non vi restavano come monaci vi compivano gli studi. Il corpo di San Martino fu spesso spostato: racchiuso in un cofano, o sotto un'altare, o sotto un ciborio, come si costumava all'epoca merolingia, per anni, durante le invasioni normanne, e fu conservato al sicuro; gli Ugolotti lo arsero il 25 maggio 1562. Alcune reliquie però poterono essere salvate e sono tutt'ora venerate nell'attuale basilica di Tours. Un frammento è costodito a Ligugè, suo primo monastero. 

Mary Astell

sabato 10 novembre 2012

SICULI E FONDAZIONE DI SIRACUSA

E' stato stabilito che il primo insediamento umano in Sicilia risale al paleolitico superiore durante l'ultima glaciazione dell'era quaternaria. Nel periodo successivo della preistoria,quello neolitico,all'inizio del IV millennio a.C. compaiono, anche presso di noi, popolazioni più evolute,provenienti probabilmente dalla Siria settentrionale o dall'Anatolia che risalendo la penisola balcanica ,dopo essere discesi lungo la penisola italica hanno attraversato lo stretto di Messina.
Tracce di questa civiltà sono state ritrovate a STENTINELLO nei pressi di Siracusa ed in minor misura al Plemmirio. Usavano vivere in capanne raggruppate in villaggi, usavano strumenti di basalto ed ossidiana, fabbricavano ceramica graffita ed usavano seppellire i loro morti in tombe scavate nella roccia a forma di grotta. Questo tipo di inumazione si manterrà sino all'invasione greca. Oltre che nelle Isole Eolie,la civiltà delle prime due fasi dell'età del bronzo si ritrovano presso CASTELLUCCIO nei pressi di Noto e quella di THAPSOS,nei pressi di Siracusa. 
Nella terza fase del bronzo si collega nella nostra zona la presenza dei SICULI ,popolo di provenienza italica,affine agli Ausoni. L'insediamento di questo popolo sarebbe durato dal XIV-XIII sec a.C. sino all'arrivo dei greci,nel VII sec a.C. 
Secondo la tradizione le prime colonie greche risalgono all'ottavo secolo a.C. anche se non si può negare che siano mancate relazioni prima delle immigrazioni delle colonie. La necessità di dare uno sfogo alle accresciute popolazioni fu il movente principale dell'emigrazione greca. 
Una colonia di Calcidiesi ,guidata da TEOCLE si spinse ,non prima del 735 a.C. a fondare la città di Nasso.
Successivamente una colonia di Corinzi fondò Siracusa nel 734 a.C. ARCHIA sbarcò in Ortigia ,ne scacciò i Siculi ed impiantò la sua colonia. Secondo alcuni la città avrebbe avuto nome NASOS, secondo la leggenda i nomi di Ortigia e di Siracusa sarebbero derivati da quelli delle due figlie di Archia,che potrebbero simboleggiare la città che sorgeva all'Ortigia ed un'altra città o borgo che sorgeva nella costa dell'Isola presso l'Anapo, che più tardi prese il nome di Acradina.



Marcello Lo Iacono.



Questo è stato il primo capitoletto della Storia di Siracusa.
Inauguriamo oggi una nuova rubrica: La Storia di Siracusa con un Click,tenuta dal Sign. Marcello Lo Iacono,che ha deciso di mettere a nostra e vostra disposizione la sua conoscenza.
Per questo Lo ringraziamo Vivamente. 
 Ass. Mary Astell.

martedì 6 novembre 2012

Mille note: Mina

Anna Maria Mazzini, in arte Mina, nacque a Busto Arsizio il 25 Marzo 1940 da una famiglia benestante la quale nel 1943 si trasferì a Cremona, e qui Anna Maria lasciò gli studi di ragioneria al 4° anno per dedicarsi alla musica, soprattutto ai dischi di rock'n'roll che in Italia arrivano dagli U.S.A. 
Proprio in quegli anni formò un complesso, gli "Happy Boys", dove in una delle serate di esibizione conobbe David Matalon, titolare della Italdisc, una piccola etichetta discografica, David le offri un contratto discografico con il quale debuttò nel mondo della musica con lo pseudonimo di Mina. 
Ben presto, Mina, sostituisce gli "Happy boys" con un altro complesso, i "Solitari", ed è proprio con loro che al "Festival rock" che si tiene nel 1959 a Milano presenta un brano lanciato qualche mese prima al Festival di Sanremo da Betty Curtis e Wilma De Angelis, "Nessuno": la sua interpretazione stravolge la canzone, rendendola più rock grazie ad un cantato swing che la carriera di Mina decolla. 
Il settimanale "Sorrisi e Canzoni" le dedica la copertina, con la scritta "Nel mondo della canzone è esplosa una Mina". Il successo discografico continua con "Tintarella di luna", "Folle banderuola", "Serafino campanaro" ed "Una zebra a pois" (quest'ultima scritta da Lelio Luttazzi), e nel 1960 Mina diventa un grande successo una canzone scritta da un nuovo cantautore emergente genovese, Gino Paoli, "Il cielo in una stanza". 
Nel 1961 Mina approda al Festival di Sanremo con "Io amo tu ami" e "Le mille bolle blu" ma non riesce a vincere e decide di non partecipare più al Festival anche perché, la "Tigre di Cremona" (così comincia a soprannominarla la stampa) reincide dei brani che a Sanremo passano inosservati immeritatamente. Nello stesso anno però scoppia il "caso Mina": la cantante conosce l'attore Corrado Pani e se ne innamora diventando l’ amante di un uomo sposato, restando incinta. La rigida morale bacchettona dell'epoca non può tollerare una cosa del genere, per cui Mina viene inserita nella "lista nera" degli ospiti indesiderati in Rai. 
Non potendo più apparire in trasmissioni televisive per promuovere i suoi dischi inizia la sua ascesa discografica. Il 18 Aprile 1963 nasce Massimiliano Pani, che la mamma soprannomina "Paciughino" e che avrà un brillante futuro come arrangiatore e musicista. Nel frattempo continuano uscire dischi di Mina, tra cui una canzone scritta da Dario Fo, "Stringimi forte i polsi", "Stessa spiaggia stesso mare" e "La ragazza dell'ombrellone accanto", ma il boicottaggio radiotelevisivo ha come conseguenza un calo nelle vendite, per cui la Italdisc non le rinnova il contratto.
Mina passa allora alla Ri-Fi il cui direttore, Tonino Ansoldi, è l'unico discografico che ha ancora fiducia in lei. Il rilancio avviene nel 1964 con due 45 giri, "Città vuota" e "E' l'uomo per me", e nel 1965 con due delle più belle canzoni mai cantate da Mina: "Un'anno d'amore" e "E se domani", canzone presentata al Festival di Sanremo del 1965 con scarso successo.
 Anche la Rai deve cedere, e la richiama per condurre uno show costruito su misura per lei, "Studio Uno": in questa occasione Mina lancia una canzone scritta dal maestro Bruno Canfora appositamente per mettere in evidenza il suo talento vocale, "Brava".
 Nel 1965 una grave tragedia si abbatte sulla cantante: muore il fratello Alfredo in un incidente stradale.
Mina fatica a riprendersi dallo choc ma prosegue al meglio il suo lavoro, tanto che nel 1968 festeggia i primi dieci anni di carriera proprio in quel locale che l'aveva vista esibirsi per la prima volta, la Bussola, dove fra l'altro registra anche il suo primo album dal vivo che, per inciso, è anche il primo album live mai realizzato da una cantante italiana.
 Le cose sembrano essersi ristabilite per il meglio quando un altro incidente stradale spezza quella felicità che Mina aveva cercato faticosamente di ricostruirsi, in specie dopo la fine della relazione con Pani. 
Nel 1973 perisce in uno scontro frontale il marito Virgilio Crocco, giornalista del Messaggero, che aveva sposato 3 anni prima e dal quale nel 1971 aveva avuto la figlia Benedetta.
 Nel 1974 presenta con Raffaella Carrà "Mille Luci": sono le sue ultime apparizioni televisive.
 La sigla finale del programma è "Non gioco più" e infatti Mina non solo abbandona la televisione, ma smette anche di fare concerti dal vivo. Fa eccezione nel 1978, quando ritorna alla Bussola per i suoi venti anni di carriera e registra il suo terzo e ultimo live (il secondo era uscito nel 1972). Da questa data Mina resta in contatto col suo pubblico con un album all'anno, ma anche con articoli su riviste e trasmissioni radio. 
I suoi fans hanno potuto assistere al suo ultimo concerto, nel 2001, non dal vivo, ma attraverso Internet.
 Il 10 gennaio 2006, a Lugano, dopo 25 anni di convivenza, ha sposato il compagno, il cardiologo Eugenio Quaini.
Secondo la legge svizzera la sposa prende il cognome del marito, così il suo nome attuale è Anna Maria Quaini terminando (ma ancora non è detta l’ultima parola, anzi l’ultima nota) la carriera della cantante Italiana Mina.



Alessandra Santorino.

venerdì 2 novembre 2012

La Storia di Jack O'Lantern

Perchè si usano le zucche ad Hallowen? 
La leggenda narra che un fabbro irlandese di nome Jack, un ubriacone taccagno, ebbe la sventura di incontrare il Diavolo in un pub, alcuni dicono nella notte di Halloween. 
Jack aveva bevuto troppo e stava per cadere nelle mani del Diavolo, quando riuscì ad imbrogliarlo offrendo la sua anima al Diavolo in cambio di un'ultima bevuta.
 Il Diavolo si trasformò in una moneta da sei pence per pagare l'oste e Jack riuscì velocemente a mettersi quella moneta nel borsellino. Poiché Jack teneva lì anche una croce d'argento, il Diavolo non poteva tornare alla sua forma originaria. Jack lasciò andare via il Diavolo solo a patto che questi gli promettesse di non reclamare la sua anima per i successivi 10 anni. Il Diavolo accettò. Dieci anni dopo Jack lo incontrò di nuovo mentre camminava lungo una strada di campagna.
 Il Diavolo era tornato per la sua anima, ma Jack, riflettendo velocemente, gli disse: "Verrò, ma prima potresti prendermi una mela da quell'albero?". Il Diavolo, pensando di non aver nulla da temere, balzo sulle spalle di Jack per prendere la mela. Jack tirò fuori un coltello e intagliò una croce sul tronco dell'albero. Questo lasciò il Diavolo a mezz'aria, incapace di raggiungere Jack o la sua anima. Jack gli fece promettere di non tornare mai più per reclamare la sua anima e, non vedendo via d'uscita, il Diavolo acconsentì. 
Nessuno tramanda come il Diavolo riuscisse a tornare di nuovo a terra!
Quando alla fine Jack morì, anni dopo, non fu ammesso in cielo, a causa della sua vita dissoluta, da ubriacone e truffatore. Così si recò all'entrata dell'inferno, ma il Diavolo lo rimandò indietro perché aveva promesso di non prendere mai l'anima di Jack.
 "Ma dove posso andare?", chiese Jack.
 "Torna da dove sei venuto!", gli rispose il Diavolo. 
Ma la strada del ritorno era buia e ventosa. Jack implorò il Diavolo di dargli almeno una luce per trovare la giusta via e il Diavolo, spazientito, gli gettò un carbone ardente che proveniva dalle fiamme dell'inferno. 
Per illuminare il cammino e per non farlo spegnere dal vento, Jack lo mise in una rapa che stava mangiando. Da allora Jack fu condannato a vagare nell'oscurità con la sua lanterna, fino al Giorno del Giudizio.
 Jack della lanterna (Jack o'Lantern) da allora fu il simbolo delle anime dannate. Si sarà notato che nella leggenda si parla di una rapa e non di una zucca. La spiegazione a ciò sta nel fatto che gli irlandesi, sbarcati in America, non ebbero più a disposizione il loro tubero e ricorsero alle grosse zucche gialle, facilmente reperibili nella nuova terra. 



Carmen Santorino