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sabato 2 giugno 2012

Il Ciane e i suoi papiri

Il Ciane, come lo vediamo oggi, è in realtà un canale artificiale risultato dalla bonifica, alla fine dell’800, di una vasta zona paludosa che occupava quasi tutta la pianura circostante. Il fiume è lungo circa 4,5 km, e sfocia nel Porto Grande in un’unica foce con l’Anapo e il canale di bonifica Mammaiabica. Il suo corso è fiancheggiato da grossi frassini e salici e, sul bordo, cresce una striscia di vegetazione palustre caratterizzata da una presenza eccezionale: il papiro. Molti autori fanno risalire l’introduzione del papiro in Sicilia dall’Egitto nel III sec. a.C. Secondo Smyth e Figuier, due autori del 1800, la pianta fu mandata dall’Egitto da Tolomeo Filadelfo II a Ierone II suo amico e alleato. Figuier scrive: “ E’ in Sicilia che si tentò di coltivare il papiro. I tentativi furono effettuati da Ierone, re di Sicilia, che piantò in quest’isola le radici del papiro strappate dalle rive del Nilo. La coltura del papiro, tentata in Sicilia da Ierone, non ebbe grande successo. Il papiro in Sicilia fu sempre considerato di qualità inferiore; fu solo utilizzato come carta emporetica per avvolgere derrate”. Testimonianze storiche, letterarie, archeologiche testimoniano l’esistenza di relazioni commerciali e culturali tra l’Egitto e Siracusa nel III sec. a.C. ma la presenza del papiro resta solo un’ipotesi mancando documenti e prove archeologiche a confermare ciò. Comunque è possibile fare delle considerazione prendendo in esame i dati linguistici, infatti,nell’egiziano antico, il papiro veniva chiamato “paen-peraa” oppure “pa-per-âa”, invece a Siracusa era chiamato comunemente “parrucca” o “pilucca” (nomi ispirati alla forma dell’ombrella) ma anche “pampera” o “pappèra”. Come si può notare le voci dialettali siracusane e i nomi dati al papiro dagli antichi Egizi presentano una notevole somiglianza, ciò viene ad essere una prova della provenienza del papiro siracusano e siciliano in generale, dal Basso Egitto. Un’altra tesi, abbastanza comune negli anni passati, era quella che il papiro fosse stato introdotto in Sicilia dagli Arabi. Secondo alcuni studiosi intorno al X sec., secondo altri intorno al VII sec. Questa tesi cade quando viene ritrovata una lettera di Gregorio Magno scritta nel 599 d.C. al rettore del patrimonio della Chiesa romana in Sicilia, in cui viene menzionata la presenza del papiro a Palermo. Se si accetta tale riconoscimento, ne consegue che il papiro era già presente in Sicilia alla fine del VI sec. La successiva testimonianza del papiro a Palermo risale al 972-973 quando un commerciante arabo scrive che nella città vegetava abbondantemente il papiro che chiamò “bardi”, cioè la pianta da cui si fabbricavano i rotoli papiracei. Infine, intorno al 1550, il Fazello, descrivendo la città di Palermo, indica il “Papireto” pieno di piante di papiro. Un’altra zona in cui il papiro vegetava era il fiume Favara la cui presenza è testimoniata dal botanico Bonfanti nel 1665 e dal Gregorio nel 1787. Dal XVI sec. in poi la pianta del papiro scompare dalla città a causa della bonifica delle paludi per eliminare l’epidemia di malaria. Nella parte orientale della Sicilia il papiro fu indicato in molti luoghi paludosi del litorale, dal fiume Alcantara, Fiumefreddo, Mascali, fino a Giarre. Anche nella Sicilia meridionale cresceva il papiro, in un laghetto presso Ispica. Nel siracusano per la prima volta vene segnalata la presenza dei papiri nel 1674 da Boccone, nella zona della “Penisola della Maddalena” a sud del porto grande della città e in una zona chiamata “San Cosimano” presso Melilli. La prima segnalazione certa riguardo la presenza del papiro lungo le sponde del Ciane, ci viene offerta da una lettera del 1760 scritta dall’abate Salvatore Di Blasi al conte Cesare Gaetani della Torre, con la quale ringrazia per la splendida gita fatta sul fiume per vedere i papiri. Dai precisi riferimenti, contenuti in una serie di documenti, si può con certezza dare al Gaetani il merito di aver riconosciuto e identificato per primo la pianta del papiro nel Ciane, nonostante la lunga disputa con il Landolina per il primato della scoperta. Al Landolina spetta, comunque, il merito di aver iniziato intorno al 1780 gli studi sulla carta papiracea e sulla sua manifattura; in particolare egli tentò di formare una carta da scrivere utilizzando il metodo tramandato da Plinio. Inoltre ebbe affidata dalla corte napoletana la custodia del papiro del Ciane a seguito di una sua precisa richiesta appoggiata da Ignazio Paternò, principe di Biscari. Si ritiene che i Siracusani utilizzassero la pianta che vegetava nel fiume Ciane, riconosciuta successivamente come papiro, ancor prima della seconda metà del Settecento. Come una qualsiasi pianta palustre, i pescatori adoperavano il papiro per intrecciare corde e i contadini per legare i covoni di fieno. Le ampie chiome venivano adoperate per adornare le capanne al passaggio di processioni e per coprire le strade e i pavimenti delle chiese durante le feste. Il papiro non è scomparso dal fiume Ciane, anche dopo le opere di bonifica, perché l’importanza della sua conservazione venne già capita dal governo borbonico, così dal 1800 fino ad ora, è entrato a far parte del Demanio Pubblico; oggi è presente non più allo stato spontaneo, ma come coltivazione ma anche in questa forma, resta l’estensione di papiro più grande di tutta Europa.



Carolina Stroscio

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